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Indirizzo
17 Via Collegio di Santa Maria

Mandamento/Quartiere
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Abstract

L’erede del puparo cresciuto a Borgo Vecchio
Enzo Mancuso, nato a Palermo nel 1974, è figlio e nipote d’arte. Esordisce a tredici anni con il suo primo spettacolo “Morte di Agricante”, che lo vede impegnato per 360 giorni consecutivi a Misilmeri. Nel 1994 inizia la sua attività con alcuni pupi ereditati dal nonno, dedicandosi anche al restauro e alla costruzione secondo le antiche tecniche dei vecchi maestri. Mancuso discende da una famiglia di pupari che diede inizio alla propria attività a Palermo nel 1928, aprendo un teatrino nel quartiere di Borgo Vecchio. Antonino Mancuso, allievo del puparo Pernice, trasferì il suo teatro in diverse zone di Palermo e in vari paesi della provincia, viaggiando a bordo di un camion trasformato in teatro, fino a quando decise di fermarsi a Palermo, in piazza don Luigi Sturzo, dove restò fino alla sua morte, nel 1988. Solo Nino collabora con il padre fino alla sua scomparsa, ed è l’unico figlio a seguirne le orme.
Mappa

L’artigiano-inventore nella caverna di Alì Babà
È una tale confusione di cose e d’avanzi di cose da scoraggiare chiunque volesse prendersi la briga di azzardare un inventario. “La caverna di Alì Babà”, nell’atrio di Palazzo Gravina di Rammacca (ex Filangeri di Santa Flavia), dal 1933, è piena di tutto: vetri, lampadari, oggetti d’altri tempi o un’introvabile resistenza per elettrodomestici. Solo il proprietario, Marcello Lampone, 71 anni, riesce a muoversi con agilità e a trovare ciò che cerca. Oltre a tagliare il vetro, Marcello “inventa”, anzi come lui stesso dice, fa “le cose più assurde e impensabili”: una sedia realizzata con collari per cani, due piccolissimi scaldabagni alti 45 centimetri capaci di riscaldare un litro d’acqua, un orologio che, senza lancette, indica ugualmente le ore e i minuti. Ma attenzione, vende o ripara soltanto a chi vuole lui. Se non gli sei simpatico, non c’è cifra che tenga.
Il laboratorio dove si insegna l’arte della tessitura
Il primo telaio è stato un regalo dei suoi genitori per la laurea. Con l’intento di risvegliare e diffondere in Sicilia l’interesse per l’artigianato tessile, Giulietta Salmeri ha creato nel 2012 l’associazione Artes. L’accogliente laboratorio in via Alessandro Paternostro 87 è un miracolo di abitabilità. Nel centro storico della città, lì dove tante attività artigianali sono ritornate a vivere. In questa colorata bottega, Giulietta Salmeri insegna con passione a tante donne, anche immigrate, e qualche uomo a imparare a tessere trame di lana e di cotone. Un corso base per apprendere i fondamenti teorici del telaio a pettine liccio, lo studio dell’orditura e l’approccio con i tessuti più semplici per poi passare a un corso avanzato per imparare tecniche complesse. Nascono produzioni artigianali in tessuto, dai capi di abbigliamento a complementi di arredo per la casa.
Gli stagnini che da 150 anni producono oggetti in rame
Via Calderai, nell’ex quartiere ebraico, è il luogo delle meraviglie metalliche in cui si può trovare un passa-pomodoro gigante e una tortiera nuziale, un pentolone per la milza e un fornello per le caldarroste, oggetti che in un modo o nell’altro si rincorrono alla memoria dei panormìti un po’ come delle icone. Da 150 anni, qui, ci sono i “ferrari” o stagnini Trapani. Un tempo era una squadra intera di quaranta operai che martellava, cesellava, tagliava. Oggi c’è Ezio Trapani con il figlio Francesco. Ha cominciato l’attività il bisnonno Francesco, poi è stata la volta del nonno Ignazio e del padre Salvatore. Per produrne una “quarara” di rame ci vuole una settimana di lavoro e costa 250 euro. Si comincia dal foglio di rame che va tagliato e poi messo al tornio, per finirlo con la stagnatura e i manici in ottone.

Quel magico spicchio di cielo al centro della Kalsa
Il fascino della chiesa a cielo aperto cattura chiunque. Lo Spasimo è il simbolo del centro storico ritrovato. I lavori di costruzione iniziarono nel 1509 a opera dei monaci olivetani: il complesso però non venne mai completato in quanto, nel 1536, l’aggravata minaccia dell’armata turca indusse il vicerè di Sicilia don Ferrante Gonzaga a costruire un baluardo a ridosso della chiesa e del convento. Nel 1520 si arricchì di un capolavoro: lo “Spasimo di Sicilia” di Raffaello, ora esposto al Prado di Madrid, protagonista di un celebre giallo storico. Nel 1582 la chiesa venne adibita a spettacoli, ma nel secolo successivo divenne lazzeretto durante l’epidemia di peste. A metà del Settecento crollò la volta della navata centrale, che non verrà mai più ricostruita.
Palazzi, porte, chiese – Ecco Palermo in miniatura
Una Palermo in miniatura realizzata con la consapevolezza dell’architetto, la manualità dell’artigiano e la passione di chi è innamorato della propria città. Nel suo laboratorio, Vincenzo Vizzari fonde da un quarto di secolo la conoscenza dell’architettura e del disegno a rilievo con l’abilità del ceramista per creare perfette miniature in terracotta monocromatica dei più celebri monumenti palermitani e di altre città della Sicilia. Ogni pezzo è unico, interamente lavorato e rifinito a mano. Nella piccola bottega – giusto lo spazio per il tavolo da lavoro, una sedia e pochi scaffali – esprime con maestria la sua visione di Palermo: bellissima e ricca di mistero. Colora solo le cupole rosse delle chiese arabo-normanne e il verde delle chiome di palme e ficus secolari. Ogni riproduzione bidimensionale in scala richiede dalle 15 alle 20 ore di lavoro e numerosi calchi.
Immagine sacre in cera, argento e corallo Rivive la tradizione
Il Bambinello dormiente, il San Giorgio che trafigge il drago, la Santuzza Patrona di Palermo vengono rigorosamente scolpiti a mano e coreografati con coralli, argenti e pietre, rendendo unica ogni singola opera. Come gli antichi bambinai, Luigi Arini realizza presepi e immagini sacre in cera e decorazioni preziose, mettendo insieme tre antiche tradizioni siciliane: la ceroplastica, l’arte del corallo e degli argenti. Domus Artis è un’impresa familiare a due passi da Casa Professa e Ballarò, che perpetua le antiche tecniche seicentesche di cesellatura e lucidatura della cera. Nella realizzazione di ogni singola opera l’officina d’arte si attiene rigorosamente ai Canoni Tridentini, dove furono stabiliti materiali, colori e simbologia per l’iconografia religiosa cristiana. Ma Arini è capace di recuperare situazioni disperate, come quei bambinelli ridotti in mille pezzi, che con uso sapiente del calore possono tornare come nuovi.
La prima donna farmacista nel 1890, un pezzo di storia al Capo
La signorina Giuseppina Salem nel 1890 fu la prima donna a varcare la soglia della facoltà di Chimica e Farmacia. Per lei e per la sorella più piccola Vincenza, pioniera di Scienze naturali, il padre Carlo aprì una farmacia in piazza Beati Paoli, nel cuore del Capo, dove si mescevano e si vendevano preparati medicamentosi. Il fratello era il generale medico Alessandro Salem. Era il 1892. Poco tempo più tardi fu messa in vendita l’intera palazzina di fronte, dove attualmente si trova la farmacia: così nel 1899 al pian terreno Carlo Salem spostò l’attività, mentre ai piani superiori realizzò alcune abitazioni. Giuseppina, che si sposò poi con il professore Arnaldo Colonna, non ebbe figli. Nell’arco di un secolo si è trasformata in una moderna farmacia con tanti servizi dedicati alla salute. Alla guida dell’attività c’è oggi la giovane Roberta, figlia di Carlo e nipote di Alessandro.
I vecchi mobili anni Trenta riportati a nuovo splendore
A due passi dal Teatro Politeama, ombelico della città commerciale, ancora adesso mantiene l’atmosfera di un tempo. La farmacia, infatti, è un gioiello degli anni Trenta del secolo scorso che è sopravvissuto alle bombe della Seconda guerra mondiale – cadute pesantemente nel quartiere – ed è stato appena restaurato nel rispetto dei materiali e dei mobili d’epoca: i vecchi mobili che negli anni erano stati laccati di bianco sono tornati allo stato originale, le travi del soffitto sono a vista, e c’è ancora qualche antico bottiglione e qualche albarello di ceramica, oggetti che ricordano l’antico passato. Di recente, tra le vecchie carte, i proprietari hanno ritrovato i timbri antichi e le ricette per le preparazioni galeniche. A fondarla fu Vincenzo Sparti, suocero dell’attuale titolare Valeria Ciprì. Lui, titolare di una farmacia a Villabate, si trasferì a Palermo.
Tisane, “droghe”, spaccapietra Una storia lunga tre secoli
Sulla targa di via Dante c’è scritto 1769. A quella data rimonta l’apertura della prima erboristeria dei D’Angelo. Con molta probabilità dev’essere proprio questo l’esercizio commerciale più antico di Palermo. Ma Giovanni D’Angelo precisa che la fondatrice fu la trisavola Dorotea Oliveri e che, solo dopo aver sposato un D’Angelo, il negozio prese il nome attuale. Vicino al Capo, miscelava con il bilancino le giuste quantità di “droghe”, dalla “spacca-pietra”, alla malva per curare le ostruzioni renali. Alle 7 l’erboristeria D’Angelo è già aperta. Nel laboratorio c’è un piccolo gioiello, il bancone miscelatore progettato da papà Giuseppe trent’anni fa. Da D’Angelo Serafino, nell’800 il testimone passa a Giovanni, nonno dell’attuale titolare. Dello “spaccapietra” se ne vendono trenta boccali ogni giorno: è fatto di gramigna, fiore di ficodindia per curare la “renella”.
Vestiti, scarpe, borse Ecco il tempio del vintage
Oggetti, borse, vestiti, gioielli e accessori vintage abitano qui. Le grandi vetrine campeggiano su via Maqueda, lanciando un accattivante viaggio a spasso nel tempo, quando era ancora possibile rovistare in una soffitta e trovare un tesoro dimenticato. Perchè tra calzature antiche e moderne, o di modernariato, c’è il pezzo d’arredo o il gioco da tavola anni 70 che ha fatto la gioia di pomeriggi spensierati. I vestiti sono disposti in un caos armonioso tra lampade d’epoca, porcellane, scarpe, e di tutto un po’. Le scarpe sono tutte originali e non usate, scovate in depositi o in magazzini che custodiscono piccoli tesori, spesso anche di marce blasonate. L’importante è entrare senza guardare l’orologio. Per tornare bambini, o fare un viaggio nel passato, giocando con la moda.
Gli articoli fiorentini nell’intatto scrigno Liberty
L’insegna è una delle poche vetrine in stile Liberty di via Maqueda, base verde con la scritta in oro. Dentro gli arredi originali in legno a tutta altezza. Immersa nel cuore del centro storico della città, la pelletteria Di Franco risale ai primi del Novecento, come risulta evidente dall’insegna storica sulla quale campeggia il cognome e che non ha mai subito cambiamenti sin dai tempi dell’apertura del negozio. La bottega, aperta dal palermitano Francesco Di Franco, poi passata, nel 1982, nelle mani del nipote Domenico, è oggi gestita dalla figlia di quest’ultimo, Elena. La cifra che, da sempre, ha contraddistinto la pelletteria è la scelta di vendere pezzi unici di artigianato provenienti da Firenze, nota per la celebre Scuola del Cuoio di Santa Croce. Tra i vari articoli in vendita zaini, borse, valigette ventiquattrore, cinture e cappelli, tutti fatti a mano. Oggi come un secolo fa.
Dietro il sipario del tempio della lirica
Che effetto fa salire sul palco del Teatro Massimo, come i cantanti d’opera, e vedere il colpo d’occhio della magnifica sala? Che effetto fa svelare i segreti del palcoscenico tra le scenografie, gli attrezzi e gli abiti di scena? Per provarlo, basterà fare questa visita che “ribalta” il punto di vista tradizionale degli spettatori. E godere in modo inedito del fascino del Teatro Massimo, terzo per dimensioni dopo l’Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. Progettato dal celebre architetto Giovan Battista Filippo Basile e realizzato fra il 1875 e il 1897, il Teatro occupa 7.700 metri quadrati e sorge sull’area di un antico complesso religioso di suore, che fu abbattuto per far posto all’ambizioso progetto “Massimo”. Secondo una diceria popolare, la notte si aggirerebbe ancora il fantasma di una monaca del monastero demolito.
La bottega che ogni sabato diventa sala di musica
Un sarto con la passione per il mandolino. Ogni sabato pomeriggio, da trent’anni ormai, la sua bottega da bohémienne in via Beati Paoli 3 diventa la sala prove di un gruppo di appassionati di musica popolare napoletana e siciliana. Andrea Vajuso è bravo con il mandolino e abile con ago e filo. Aveva otto anni quando ogni mattina preparava la brace per il ferro da stiro nella sartoria di Francesco Paolo Manfrè, in via Maqueda. A diciassette aveva già una bottega tutta sua. Il suo bisnonno a metà dell’Ottocento cucì la redingote a Ruggiero Settimo, ammiraglio della flotta borbonica e ministro del Regno delle due Sicilie. Ventenne, a Roma, Andrea Vajuso apprese l’arte sartoriale. Imparò a cucire a mano frack, tight e smoking per l’alta società della capitale e per attori del cinema.
L’arte di tornire il legno a due passi dal Teatro Massimo
Specializzato nella realizzazione di componenti d’arredo e articoli religiosi in legno, il laboratorio artigianale dei Vitrano esiste dal 1912, da quando il nonno dell’attuale proprietario aprì qui la sua casa-bottega, a due passi dal Teatro Massimo. Lo spazio adibito a laboratorio è sempre lo stesso, solo che oggi c’è un tornio per legno di nuova generazione. L’ambiente originariamente dedicato alle stanze private è oggi un piccolo museo dell’arte del torniere in cui sono esposti due torni a pedale di legno della metà del 1800, le porte originarie della bottega e tanti esemplari di opere realizzate dalle tre generazioni di artigiani. Giuseppe Vitrano, da qualche anno, si è dotato dell’insegna in legno “Torniere” che accoglie all’ingresso, ma non ne aveva bisogno: bastano il suo volto e i suoi strumenti a definire l’attività.

L’opera dei gesuiti raccontata in una chiesa
Uno spettacolo prima ancora di entrare, visto che si trova in via dei Crociferi, la strada più scenografica del barocco catanese. Edificato nel Settecento, questo edificio racconta una lunga storia che intreccia la permanenza dei gesuiti in città a una nobile famiglia, i Borgia, da sempre legata a doppio filo al mondo della chiesa e della cristianità. È intitolata infatti a Francesco Borgia, nato nella cristianissima Spagna nel 1510, che consacrò tutta la vita a riabilitare il discusso nome del proprio casato attraverso una vita austera e morigerata. Alla morte della moglie, Eleonora, si unì alla compagnia di Gesù e da lì iniziò, instancabile, la sua opera di evangelizzazione in giro per il mondo, autorevole consigliere di imperatori, re e principi, per tornare finalmente a morire nella sua cella romana, nel 1572. E temi legati ai gesuiti sono disseminati per tutta la chiesa, a cominciare dalla cupola, affrescata da due mostri sacri del tempo: Olivio Sozzi e Vito D’Anna. Nella decorazione domina la figura di Cristo, mentre nei pennacchi della cupola, le quattro figure rappresentano i continenti evangelizzati dalla Compagnia di Gesù: Europa, Asia, Africa e America.
La più antica della città, fondata da ex monaci
Il posto è lo stesso di oltre un secolo fa, cosi come gli arredi e le scaffalature, scolpite da antichi ebanisti. È probabilmente la più antica farmacia di Palermo, attestata sin dal 1852, di proprietà degli ex monaci Rizzuto, che continuavano a esercitare la professione appresa in convento, cioè la preparazione di ricette galeniche e medicamenti. La farmacia ha origine dal laboratorio di fine ‘700 che si trovava all’interno del vicino convento di Sant’Antonio da Padova. Nel 1894 viene acquistata da Ignazio Teresi, successivamente passa al figlio Pietro e poi ancora alla nipote Maria, attuale titolare. Entrare alla farmacia Teresi è un tuffo nel passato, perché grazie al restauro conservativo degli arredi non è difficile immaginare dietro il banco i vasi allineati e destinati alle preparazioni galeniche, quando ai farmacisti era chiesto di conoscere anche le proprietà delle piante.
Dove Ruggiero Settimo e Garibaldi celebrarono le proprie vittorie
Nacque nel 1834 là dove c’era la cappella dei principi di Cattolica, nel settecentesco Palazzo dell’omonimo nome. Il fondatore Antonio Alaimo, cuoco di Palazzo, ebbe come saldo delle sue spettanze questi locali. La focacceria si affermò subito come il primo locale pubblico dove potere consumare piatti tipicamente palermitani, a partire dal pane con la milza. Nel 1848, quando venne proclamato il primo Parlamento siciliano, Ruggiero Settimo, neo eletto capo del governo, festeggiò qui. Vi trovarono ristoro Giuseppe Garibaldi e i suoi Mille. Ma tra gli ospiti ci sono stati anche Pirandello, Crispi, i reali di Spagna e di Belgio. Tra il 1898 e il 1900 Salvatore Alaimo, erede del fondatore, operò il primo restauro commissionando alla Fonderia Orotea i tavoli in ghisa, le vetrate e la cucina economica e alla falegnameria Ducrot alcuni mobili in legno e le panche ancora in uso. Così, nel 1902, la Focacceria divenne “antica”.
Il Maestro del Cunto che ha portato i pupi nel mondo
Mimmo Cuticchio è considerato oggi il maestro del Cunto: puparo, costruttore, attore. I pupi sono arte di famiglia: Mimmo è infatti figlio del puparo Giacomo Cuticchio, che negli anni Cinquanta girovagava in Sicilia con un teatrino mobile a bordo di un camion. Cuticchio nel 1973 apre a Palermo il Teatro dei Pupi Santa Rosalia, e nel 1977 fonda l’associazione “Figli d’Arte Cuticchio”, che si prefigge di salvaguardare l’arte dell’Opera dei Pupi. Con lui lavora il figlio Giacomo, che ha scelto di dedicarsi alle musiche. Come attore, Mimmo Cuticchio è apparso nel film “Il padrino – Parte III” di Francis Ford Coppola e in “Prove per una tragedia siciliana” di John Turturro. Nel 2015 la collezione di pupi siciliani iniziata dal padre è stata acquisita dalla Fondazione Sicilia, ed è ora esposta a Palazzo Branciforte.
Biciclette da tre generazioni nell’officina-pensatoio
Da tre generazioni i Cannatella realizzano biciclette artigianali. L’azienda – fondata da Nenè e passata poi al figlio Totò – oggi è mandata avanti dal nipote Massimo, il cui motto è: “La bicicletta fa bene al corpo e alla mente”. Basta entrare nel laboratorio, rigorosamente dentro al negozio, per avvertire il caos creativo e la sua passione per lo sport ma anche per l’arte e il design. Passioni che hanno generato biciclette uniche nel loro genere e che l’hanno reso celebre come artista-artigiano. Così non c’è da stupirsi se la bottega è una sorta di salotto frequentato da professionisti e da appassionati. Dal 2008, al piano superiore, al civico 10, ha aperto lo “Spazio Cannatella”, un luogo dedicato all’arte, al design e al benessere, in cui oltre a dare rilievo ai più dotati artisti del panorama cittadino e nazionale, si porta avanti un’idea di cultura che sensibilizzi a stili di vita corretti.
Il capolavoro di Damiani Almeyda dominato dalla Quadriga di Rutelli
La grande passione per gli scavi di Ercolano e Pompei è alla base delle scelte stilistiche dell’architetto e ingegnere Giuseppe Damiani Almeyda, nel concepire il progetto del Politeama. Alla guida dell’ufficio tecnico del Comune di Palermo, Almeyda riuscì a realizzare l’opera e a inaugurarla nel 1874. In realtà, una prima idea era stata già avanzata nel 1860, quando il pretore Giulio Benso, duca della Verdura, aveva deciso di dotare la città di un teatro diurno e circo olimpico, vista la popolarità di spettacoli equestri e acrobatici. Ma Damiani Almeyda diede un’interpretazione personale e originale al progetto, caratterizzato da uno spiccato gusto per la policromia, colonnati e statue allegoriche. In cima al grande ingresso svetta la Quadriga bronzea di Mario Rutelli.