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Indirizzo
3 Via Beati Paoli

Mandamento/Quartiere
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Abstract

La bottega che ogni sabato diventa sala di musica
Un sarto con la passione per il mandolino. Ogni sabato pomeriggio, da trent’anni ormai, la sua bottega da bohémienne in via Beati Paoli 3 diventa la sala prove di un gruppo di appassionati di musica popolare napoletana e siciliana. Andrea Vajuso è bravo con il mandolino e abile con ago e filo. Aveva otto anni quando ogni mattina preparava la brace per il ferro da stiro nella sartoria di Francesco Paolo Manfrè, in via Maqueda. A diciassette aveva già una bottega tutta sua. Il suo bisnonno a metà dell’Ottocento cucì la redingote a Ruggiero Settimo, ammiraglio della flotta borbonica e ministro del Regno delle due Sicilie. Ventenne, a Roma, Andrea Vajuso apprese l’arte sartoriale. Imparò a cucire a mano frack, tight e smoking per l’alta società della capitale e per attori del cinema.
Mappa

Dal portale gotico ai matrimoni regali, qui rivive la città medievale
Avvicinatevi e sentirete il profumo di una storia lontanissima, che data 1197: in quell’anno, questa imponente chiesa venne consacrata, alla presenza di quell’Enrico VI figlio di Federico Barbarossa. La bellezza e l’eleganza del Duomo erano così perfette da ospitare il matrimonio tra Guglielmo II, principe normanno di origini siciliane, e la principessa Giovanna, sorella di Riccardo Cuor di Leone.
Oggi resta ben poco di quel posto tanto magico – incantava chiunque lo vedesse – quanto sfortunato: incendi, terremoti e speculazioni umane (a partire dal rogo del 1294) lo hanno fortemente danneggiato. Ma la sua bellezza resiste e vive, a partire dai portali gotici, che offrono un prezioso spaccato della vita quotidiana del tempo, fino all’altare maggiore, ornato di pietre dure, e alle cappelle e ai monumenti funerari intitolati a personaggi di spicco della Messina medievale.
Da non perdere, inoltre, il tesoro del Duomo, e soprattutto il suo pezzo più pregiato: la Manta d’Oro, realizzata in purissimo oro nel 1668 dal celebre orafo fiorentino Innocenzo Mangani.

Nel cuore di piazza Duomo il miracolo del Vaccarini
Risalente all’epoca normanna, la Cattedrale di Catania, dedicata alla santa protettrice della città, fu voluta dal Gran Conte Ruggero che, desiderando velocizzarne la costruzione, scelse come materiale per la sua realizzazione la pietra lavica, estratta dall’anfiteatro e dal teatro romano di età imperiale. Dopo il catastrofico terremoto del 1693, dal quale la Cattedrale uscì distrutta, fu l’architetto Giovan Battista Vaccarini a occuparsi della sua ricostruzione. Tra il 1733 e il 1761, le donò l’aspetto odierno, con il caratteristico contrasto tra i marmi bianchi delle decorazioni e quelli dalle varie sfumature di grigio, le colonne romane che arricchiscono la facciata e le statue raffiguranti la patrona che completano l’opera. Tra le opere conservate all’interno, meritano particolare attenzione il portale del transetto destro e quello più antico della cappella absidale destra, che conduce alla stanza in cui viene custodito il tesoro di Sant’Agata, detta camaredda. Le sacre reliquie della martire catanese sono custodite all’interno del sacello, visibili solo nei giorni delle festività, inoltre riposano lì la principessa Costanza d’Aragona e il compositore Vincenzo Bellini.

La boutique vintage nella gioielleria citata pure da Pirandello
Era una delle più antiche gioiellerie della città, citata pure da Pirandello ne Il berretto a sonagli. “Voglio che mi compriate una collana, Ciampa, una bella collana. Sapete come? A pendagli. Andate da Mercurio, il nostro gioielliere”, ordina Beatrice a Ciampa. Tutelato dalla Soprintendenza ai Beni culturali, conserva ancora gli arredi originali e le cassaforti dove venivano custoditi i gioielli. Oggi è un atelier del vintage dove abiti e oggetti fanno rivivere le stanze sulla strada e le due sale al piano di sopra.
Capi e accessori dalla fine dell’ 800 sino agli anni ’80, scelti uno ad uno, usciti da prestigiose sartorie palermitane (Casa Stassi e Giovanna Valenti) o da atelier di grandi stilisti uniti alla collezione di scarpe vintage nuove. Uno spazio ancora molto affascinante dove tutto sembra raccontare una storia.
Il locale del buon formaggio nella vecchia borgata
Fuori dal centro, nella borgata di San Lorenzo, in una vecchia palazzina che ancora testimonia l’aspetto del vecchio quartiere prima dell’avanzata del cemento, dal 1926 è un riferimento per i buongustai, con formaggi e salumi di qualità, specialità e sfizi. A iniziare l’attività, con lo spirito del pioniere, è stato Salvatore Armetta detto Totò, a farne un riconosciuto tempio dei golosi il figlio Angelo, che ha puntato sulla sempre crescente attenzione per i prodotti di qualità e di nicchia. Così, nel 2001, 2003 e 2005, in occasione della Biennale di Bra, gli è stato conferito il massimo riconoscimento – quale ricercatore e conoscitore del settore – con l’attribuzione al negozio del titolo di “locale del buon formaggio”. Dal 1998 è gourmet europeo, dal 2000 è specializzato in banqueting, per la divulgazione della cultura siciliana a tavola.
Quando la città era dote delle regine d’Aragona
Prende il nome del generale bizantino Giorgio Maniace, uomo che si era fatto da sé togliendo, nel 1038, Siracusa agli arabi; ma fu con Federico di Svevia, nel Duecento, che divenne uno tra i più imponenti castelli dell’epoca.
Con gli aragonesi diventò la sede della camera reginale, un istituto che faceva di Siracusa la dote della regina, a cominciare dalla moglie di Federico III, Eleonora di Napoli, la prima a ricevere questo dono di nozze.
I baroni siracusani continuavano a ribellarsi e, più di un secolo dopo, il re Alfonso il Magnanimo corse ai rimedi. Inviò a Siracusa il capitano Giovanni Ventimiglia, conte di Geraci, che organizzò un banchetto con venti degli oppositori più aggressivi. Prima che la festa fosse finita, li fece decapitare senza tanti complimenti.
E così, Siracusa andò ancora in dote alle regine fino ai primi anni del Cinquecento.
Quando il ricamo è un’arte per la biancheria da letto o da tavola
Dice che basta una matita. È modesto Pietro Lo Verso. Crea disegni per ricami da quanto era ragazzino. Nel 1975 entrò da apprendista nel laboratorio di Giuseppe Ippolito in via Torremuzza 4, nel quartiere della Kalsa. La piccola bottega esiste dagli anni Quaranta. Non tutti sanno che solo da un bel disegno può nascere un bel ricamo. E per questo ci vuole abilità, estro e senso delle proporzioni. Pietro Lo Verso li possiede tutti, se è vero che vengono da mezza Sicilia per affidarsi alla sua professionalità. Donne che ancora apprezzano la bellezza della biancheria da letto o da tavola ricamata a mano. Complementi d’arredo che fanno bella la casa. Linee, forme geometriche o volute, Pietro Lo Verso le realizza su sottile carta velina per essere poi trasferiti sui tessuti con una tecnica molto particolare. E i segni diventano ricami. Capolavori di una tradizione artigianale che resiste con al tempo.
Il quartiere monumentale precristiano e le suggestioni di Caravaggio
Nel cuore della Siracusa moderna, s’innesta quella antica: il parco archeologico della Neapolis, riportato alla luce da pazienti scavi archeologici all’inizio del Novecento, che si estende per un’area di ben 35 ettari in cui convivono capolavori assoluti dell’arte classica e una natura lussureggiante. Un quartiere – che comprende il teatro greco di Siracusa, l’ara di Ierone II, monumento celebrativo dedicato a Zeus Eleutherios, l’anfiteatro romano e l’orecchio di Dionisio – nato nel 405 avanti Cristo così monumentale e ricco di testimonianze artistiche per volontà del tiranno Dioniso.
Porta il suo nome la più imponente opera monumentale del tempo, appunto: il celebre orecchio dal quale parte si snoda il percorso delle grandi latomie urbane.
Una grotta artificiale avvolta da una natura rigogliosa, la cui forma ricorda quella di un padiglione auricolare, con un’acustica così potente che i suoni vi vengono amplificati fino a sedici volte. Un luogo che colpì molto il pittore Caravaggio: pare sia stato lui, nel 1608, a chiamare questo luogo orecchio di Dionigi, dando vita alla leggenda secondo cui il tiranno avrebbe fatto costruire questa grotta come prigione, da cui ascoltare indisturbato le parole dei reclusi.
Cuciture e pellami pregiati, qui si respira la tradizione
“Un viaggiatore si conosce da ciò che porta nella sua borsa”: è questo il motto della bottega creativa di Laura D’Orso e Francesco Pellegrino, artigiani che nel cuore del centro storico di Palermo hanno creato la “Borsa del pellegrino”, giocando col cognome di Francesco. I due artigiani amano pensare alle borse come a delle compagne di vita e di viaggio, inseparabili contenitori dell’universo personale, dalle forme essenziali, pensate per una persona pratica e curiosa e sempre in cammino. La coppia di giovani creativi, attenta alla materia prima, si è avvicinata anche al mondo della concia vegetale con tannini naturali. La loro filosofia di recupero della tradizione traspare anche dalla bottega che conserva ancora l’antica insegna storica del precedente negozio di cordami e tessuti, Ciriminna, e l’originale basolato che era coperto dalla moquette.
Quando l’innovazione dava lavoro a un’intera isola
Le cronache raccontano che, per riprendersi dal lutto in seguito alla morte dei due figli piccoli, donna Franca Florio soggiornò a lungo a Favignana. Un’isola che doveva apparire rude e selvaggia, ai tempi, ma con cui i Florio avevano un legame solido e leale. Una storia che nasce nel 1841, quando la famiglia, intravedendo i grossi guadagni della pesca del tonno, prende in affitto la tonnara dai Pallavicini di Genova. Da qui all’acquisto da parte di Ignazio Florio delle intere isole di Favignana e Formica e dei diritti di pesca il passo è piuttosto breve. Ignazio non perde tempo: chiama un architetto del calibro di Giuseppe Damiani Almeyda, amplia e ristruttura la tonnara. Va oltre, anzi, costruendo lo stabilimento per la conservazione del tonno, introducendo il metodo della conservazione del pesce sottolio dopo la bollitura e inscatolamento. Una rivoluzione che farà il giro del mondo (all’Esposizione universale del 1891-92 l’intraprendente famiglia porterà la novità assoluta delle scatolette di latta con apertura a chiave), che richiederà manodopera e impiegherà per lungo tempo buona parte di favignanesi.
Oggi, questa straordinaria testimonianza di archeologia industriale – 32 mila metri quadri, una delle più grandi tonnare del Mediterraneo – rivive in un suggestivo spazio destinato a museo, con sale multimediali e l’organizzazione di eventi culturali. Ma, ancora, ostinatamente, riecheggia il nome dei Florio e di tutti i lavoratori che hanno fatto del tonno e della sua lavorazione un’eccellenza per moltissimi decenni.
Torte, cioccolata e golosità dove ci si sente a casa
Un luogo in cui sostare e riprendere possesso del proprio tempo: è questa l’idea che anima la cioccolateria di Enzo Di Michele e di sua moglie Roberta Milazzo, tra lo Steri e la chiesa della Gancia. Una “cioccolateria fatta a mano”, sotto ogni aspetto. Nel laboratorio Roberta prepara le torte, i biscotti e i dolci esattamente come farebbe nella sua cucina, gli ingredienti e le ricette sono quelli genuini delle torte casalinghe. In sala Enzo – un passato da attore nella compagnia di Emma Dante – accoglie i clienti suggerendogli un senso di rilassatezza e ironia. Il nome della cioccolateria è quello del loro bambino. Dal banco dei cioccolatini alle teiere dal gusto retrò, dalla musica scelta sempre con cura fino al delizioso spazio esterno realizzato con la tecnica del riuso creativo nell’intercapedine tra due palazzi. Un posto perfetto per una storia d’amore.
Nella piscina degli dèi, tra silenzi, ulivi e agrumi
Tra il tempio dei Dioscuri e quello di Vulcano, vi imbatterete in una macchia di verde intenso di circa cinque ettari, coltivati a ulivi e agrumi. Un luogo in cui la natura è regina incontrastata: è il giardino della Kolymbetra, che sorge su una dolce insenatura della Valle dei templi, in cui tempo e spazio sembrano davvero non appartenere alla Terra.
Un luogo conosciuto anche con il suggestivo nome di “piscina degli dèi”, e in un certo senso lo fu: il nome “Kolimbetra” era usato dai greci per indicare un tipo di piscina utilizzata in età romana per i giochi acquatici.
Quale sia la reazione del viaggiatore – che viene avvolto in uno sciame di silenzi, profumi e fruscii di foglie, anche in tempi più recenti dell’età classica – è presto detto: “Una piccola valle che, per la sua sorprendente fertilità, somiglia alla valle dell’Eden o a un angolo delle terra promessa”. Sono le parole dell’Abate di Saint Non, che visitò questo giardino incantato nel 1778.
Lini, tovaglie, lenzuola tra affreschi e oggetti d’arte
In piazza Croce dei Vespri, nel cuore del mercato arabo dei Lattarini, dove nel 1282 avvenne la rivolta contro gli Angioini, Salvatore Parlato inizia la sua attività a metà Ottocento. La storica Ditta Salvatore Parlato, attiva da ben cinque generazioni, e adesso guidata da Arturo Parlato, ha sede dal 1902 a Palazzo Campofranco. La famiglia Parlato ha dedicato la sua attenzione a questo negozio di rara bellezza, con soffitti affrescati e lampadari di vetro di Murano a tema floreale che vennero acquistati da Francesco Parlato, appassionato d’arte e collezionista, uomo sensibile e attento che ha trasmesso questa passione per la creatività e l’arte ai due figli, Arturo e Andrea. È un’attività storica tra le più antiche della città, dove poter acquistare tovaglie e lini, trapunte e intimo, tra scaffali in metallo e legno che si trovano in un ambiente che è più simile a un museo che a un negozio.
Fontana, Casorati, Guttuso. A spasso tra i grandi del Novecento
La Galleria d’arte, intitolata al critico d’arte messinese Lucio Barbera, custodisce una collezione di grande pregio che comprende opere di artisti del ventesimo secolo di fama nazionale e internazionale del calibro di Lucio Fontana, Felice Casorati e Alighiero Boetti. Rappresenta al suo interno tante correnti artistiche da quella neorealista del periodo del dopoguerra (Felice Canonico, Giuseppe Santomaso), al movimento della Pop Art italiana (Franco Angeli, Mimmo Rotella) insieme alle sorprendenti installazioni di Agostino Bonalumi o alle sculture di Giò Pomodoro e di Giuseppe Mazzullo. Una sezione a parte è dedicata agli artisti che hanno fatto grande il Novecento messinese, e più in generale quello siciliano: tra questi Renato Guttuso, Giuseppe Migneco, Giulio D’Anna. All’interno della Galleria d’arte è possibile visitare anche la mostra permanente “La vita non è un Sogno” dedicata al poeta Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la Letteratura (1959).

Una terrazza panoramica sul barocco della città
Affacciata su via Vittorio Emanuele, la chiesa della Badia di Sant’Agata e l’ex monastero annesso furono innalzati sulle rovine dell’antica chiesa e del convento dedicati alla patrona catanese. Distrutta dal sisma del 1693, la Badia fu completata nel 1735 dall’architetto Vaccarini, in stile barocco siciliano, con un prospetto caratterizzato da un movimento ondulato che regala morbidezza a tutto l’edificio, grazie anche alle concavità e convessità che danno vita ad ammalianti contrasti di luci e ombre. Il ricco portale di stile tardo rinascimentale e le insegne della santa conducono all’interno della chiesa, che accoglie in maniera essenziale, con una pianta a croce greca dominata dalla maestosa cupola, che dona una vista a 360° sulla città. Dentro, imperdibile, il Crocifisso realizzato da Ignazio Carnazza, nel 1696.
La prima donna farmacista nel 1890, un pezzo di storia al Capo
La signorina Giuseppina Salem nel 1890 fu la prima donna a varcare la soglia della facoltà di Chimica e Farmacia. Per lei e per la sorella più piccola Vincenza, pioniera di Scienze naturali, il padre Carlo aprì una farmacia in piazza Beati Paoli, nel cuore del Capo, dove si mescevano e si vendevano preparati medicamentosi. Il fratello era il generale medico Alessandro Salem. Era il 1892. Poco tempo più tardi fu messa in vendita l’intera palazzina di fronte, dove attualmente si trova la farmacia: così nel 1899 al pian terreno Carlo Salem spostò l’attività, mentre ai piani superiori realizzò alcune abitazioni. Giuseppina, che si sposò poi con il professore Arnaldo Colonna, non ebbe figli. Nell’arco di un secolo si è trasformata in una moderna farmacia con tanti servizi dedicati alla salute. Alla guida dell’attività c’è oggi la giovane Roberta, figlia di Carlo e nipote di Alessandro.
L’artigiano-inventore nella caverna di Alì Babà
È una tale confusione di cose e d’avanzi di cose da scoraggiare chiunque volesse prendersi la briga di azzardare un inventario. “La caverna di Alì Babà”, nell’atrio di Palazzo Gravina di Rammacca (ex Filangeri di Santa Flavia), dal 1933, è piena di tutto: vetri, lampadari, oggetti d’altri tempi o un’introvabile resistenza per elettrodomestici. Solo il proprietario, Marcello Lampone, 71 anni, riesce a muoversi con agilità e a trovare ciò che cerca. Oltre a tagliare il vetro, Marcello “inventa”, anzi come lui stesso dice, fa “le cose più assurde e impensabili”: una sedia realizzata con collari per cani, due piccolissimi scaldabagni alti 45 centimetri capaci di riscaldare un litro d’acqua, un orologio che, senza lancette, indica ugualmente le ore e i minuti. Ma attenzione, vende o ripara soltanto a chi vuole lui. Se non gli sei simpatico, non c’è cifra che tenga.
Il presepe più antico del mondo e la prima iscrizione per Santa Lucia
La basilica a cielo aperto di San Giovanni Evangelista nei suoi sotterranei custodisce un tesoro, che a sua volta ne racchiude tanti. Sono moltissime le chicche da scoprire girando per le catacombe di San Giovanni: un labirinto avvolto da un silenzio secolare, con una galleria principale, decumanus maximus, da cui partono quelle minori, cardines.
Scendere in questi luoghi significa anche vedere uno spaccato della società del tempo, con le diverse tipologie di sepoltura determinate dallo spazio a disposizione o dalla possibilità economica. Ecco il loculo, che veniva poi chiuso e corredato da iscrizioni, il ricco arcosolio, scavato nel vivo della roccia, sormontato da una nicchia e munito di una tavola, e la più umile forma, semplicemente scavata nel pavimento.
Le catacombe di San Giovanni conservano anche il presepe più antico del mondo, scoperto nell’Ottocento dall’archeologo Saverio Cavallari – allora direttore delle Antichità di Sicilia – con il sarcofago di Adelfia, moglie del conte Valerio, alto funzionario della corte imperiale. La sepoltura nel quale la donna riposa ha, infatti, scolpito al suo esterno la prima scena mai riprodotta della natività di Cristo.
Il laboratorio dove si insegna l’arte della tessitura
Il primo telaio è stato un regalo dei suoi genitori per la laurea. Con l’intento di risvegliare e diffondere in Sicilia l’interesse per l’artigianato tessile, Giulietta Salmeri ha creato nel 2012 l’associazione Artes. L’accogliente laboratorio in via Alessandro Paternostro 87 è un miracolo di abitabilità. Nel centro storico della città, lì dove tante attività artigianali sono ritornate a vivere. In questa colorata bottega, Giulietta Salmeri insegna con passione a tante donne, anche immigrate, e qualche uomo a imparare a tessere trame di lana e di cotone. Un corso base per apprendere i fondamenti teorici del telaio a pettine liccio, lo studio dell’orditura e l’approccio con i tessuti più semplici per poi passare a un corso avanzato per imparare tecniche complesse. Nascono produzioni artigianali in tessuto, dai capi di abbigliamento a complementi di arredo per la casa.
Spettacoli, assemblee, processi. Un “centro polifunzionale” dell’antichità
Proviamo a immaginare cosa dovesse essere il teatro greco di Siracusa ai suoi tempi. Monumentale, certo, perché monumentale e celebrativo era tutto il quartiere in cui si trovava, Neapolis. Ma anche in perfetta armonia con l’ambiente: sembra posarsi leggero sul colle Temenite sul quale è costruito, fino a essere un insieme con la natura e con il paesaggio circostante.
Non era però bellezza fine a se stessa: e se oggi vi si svolgono le rappresentazioni classiche, secoli fa era stato pensato come l’edificio per spettacoli più importante del mondo greco-occidentale, altissimo esempio di architettura civile. Il teatro era anche luogo di culto, di assemblee popolari, perfino di processi. Un centro polifunzionale, insomma, la cui fama raggiungeva persone e luoghi lontane.
Quanto a fama, il teatro greco l’ha conservata intatta, nonostante rimaneggiamenti, spoliazioni e danneggiamenti che hanno segnato la sua lunga epoca. Come i viaggiatori del Grand tour, che consideravano questa una tappa obbligata nella loro formazione, anche noi, uomini iperconnessi del terzo millennio, che ci piaccia o no, subiamo lo stesso, immutabile fascino.
Abiti talari, offertori, rosari Da un secolo tutto per il clero
La ditta Pantaleone nasce nel 1905, anno in cui Giuseppe, il suo fondatore, sarto ecclesiastico itinerante, originario di Villalba, decide di smettere di attraversare la Sicilia per soddisfare le esigenze del clero e di aprire il primo punto vendita. È solo nel 1919 che il sarto nisseno si trasferisce a Palermo con la famiglia, e, proprio nel palazzo nobiliare in cui va a vivere – racconta il nipote Domenico, oggi gestore dell’azienda – crea la propria bottega. Il 1938 è un anno di svolta perché Giuseppe lascia l’attività di sarto per dedicarsi alla vendita, aprendo la nuova sede in corso Vittorio Emanuele, ampliando la gamma di articoli in vendita, da quel momento inclusiva di oggetti di arredamento sacro, quali statue, brocche, rosari e piatti offertoriali. Nel corso degli ultimi venti anni l’impresa è diventata un riferimento per il clero, con commesse in tutta Europa, a Sidney, a New York.