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Abstract

L’antico patrimonio di libri delle comunità ecclesiastiche
La confisca da parte del Demanio dello Stato, nella seconda metà dell’Ottocento, dell’antica libreria del Monastero di San Nicolò L’Arena e delle librerie delle altre comunità religiose hanno dato vita alla Biblioteca civica. La libreria del Monastero fu successivamente ceduta al Comune di Catania che, nel 1925, ha ereditato la biblioteca del barone e mecenate Antonio Ursino Recupero della Torre che, dalla metà del secolo scorso, custodisce più di 270.000 volumi, oltre a manoscritti, incunaboli, pergamene, giornali e periodici, in maggioranza materiale di interesse locale e siciliano.
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Da Paolo Orsi a Guido Libertini, due custodi della bellezza
Una collezione unica nel suo genere, che racchiude preziosi reperti dal periodo protostorico e preistorico fino all’età tardo antica e medioevale. Ma soprattutto l’opera di due studiosi legati da una caratteristica comune: l’amore per l’arte e per la condivisione e diffusione delle opere.
L’origine della collezione partono infatti proprio da Paolo Orsi, infaticabile intellettuale e direttoredel museo archeologico di Siracusa, che donò dieci reperti provenienti dagli scavi di Megara Iblea al gabinetto di archeologia dell’Università di Catania. La collezione fu implementata dall’accademico e archeologo Guido Libertini che, a partire dagli anni Venti, arricchì la collezione, attraverso donazioni, con calchi in gesso di statuaria antica e recuperando una collezione numismatica donata nel 1783 da monsignor Salvatore Ventimiglia all’ateneo catanese.
Quello di Libertini fu un lavoro infaticabile, che lo portò ad acquisire tutti quei reperti che avrebbero formato l’attuale collezione del museo. Un’istituzione quindi in continua evoluzione e tutt’altro che statica, visto che l’archeologo concepì l’idea di un museo universitario dedicato alla ricerca ma soprattutto alla didattica.
Una chicca su tutte, dovuta all’interesse di Libertini per gli antichi manufatti di Centuripe: si tratta di 78 falsi, prodotti dai falsari di Centuripe con tale maestria da ingannare anche gli esperti.

Il gigante pieno di tesori dove tutto appare minuscolo
Con i suoi 105 metri di lunghezza, i 48 di larghezza e con un’altezza massima di circa 66 metri, è la più grande chiesa della Sicilia. Non stupisce, quindi, che anche le opere ciclopiche al suo interno appaiano di dimensioni minuscole, se confrontate con la vastità degli ambienti e con il candore dell’intonaco delle pareti, in cui sembrano fluttuare. Le cappelle, per esempio, alle quali vale la pena dare un’occhiata da vicino per ammirarne i manufatti. La loro realizzazione rivela una profusione di materiali nobili che riportano a un mondo di viaggi e di mercanti: libeccio di Trapani, alabastro di Roma, calcare alabastrino di Palermo, giallo di Siena, verde di Calabria, marmo tessalico, bianco di Carrara, marmo di Taormina, marmo di Billiemi, diaspro nero paragone, rosso di Francia, morgatello di Spagna, marmo nero di Portovenere.
Piccolo sembra anche il poderoso organo, recentemente ristrutturato, al quale il celebre organaro Donato Del Piano (poi sepolto proprio in questa chiesa) lavorò per ben dodici anni: realizzò uno strumento enorme, con 2.378 canne in legno e lega di stagno, sei mantici, cinque tastiere e settantadue registri, che poteva riprodurre qualsiasi strumento musicale ed essere suonato in contemporanea da tre organisti.
Una strada lunga caratterizza questo edificio, che fu anche il primo tempio eretto dai benedettini.

Mostre ed esposizioni nell’ex monastero
Ha una storia antica e prestigiosa, il palazzo della Cultura di Catania: nasce dalle ceneri del terribile terremoto del 1693, e dall’unione del sacro e del profano.
Di questo edificio, infatti, fanno parte i resti dell’ex monastero di San Placido e quelli, più antichi, del Palazzo Platamone (precedentemente donato dalla famiglia alle Benedettine). Quello che resta della gloria di questa famiglia è ancora però visibile nello stemma del palazzo: un monte con sopra tre conchiglie e un giglio in cima.
Siciliani di probabile origine greca, i Platamone furono tra le famiglie più influenti del panorama politico del Regno di Trinacria nel Quattrocento, e tra le più prestigiose di Catania. Esperti commercianti, i suoi membri affiancarono a questa attività anche la gestione di numerose cariche pubbliche.
Oggi il palazzo della cultura ha subìto numerose ristrutturazioni, ma sono ancora visibili testimonianze tardo-medievali nel loggiato, dal quale si affaccia un piccolo balcone che sembra incastonato sullo sfondo del cortile del monastero di San Placido. Ospita un’esposizione permanente e mostre temporanee.

L’opera dei gesuiti raccontata in una chiesa
Uno spettacolo prima ancora di entrare, visto che si trova in via dei Crociferi, la strada più scenografica del barocco catanese. Edificato nel Settecento, questo edificio racconta una lunga storia che intreccia la permanenza dei gesuiti in città a una nobile famiglia, i Borgia, da sempre legata a doppio filo al mondo della chiesa e della cristianità. È intitolata infatti a Francesco Borgia, nato nella cristianissima Spagna nel 1510, che consacrò tutta la vita a riabilitare il discusso nome del proprio casato attraverso una vita austera e morigerata. Alla morte della moglie, Eleonora, si unì alla compagnia di Gesù e da lì iniziò, instancabile, la sua opera di evangelizzazione in giro per il mondo, autorevole consigliere di imperatori, re e principi, per tornare finalmente a morire nella sua cella romana, nel 1572. E temi legati ai gesuiti sono disseminati per tutta la chiesa, a cominciare dalla cupola, affrescata da due mostri sacri del tempo: Olivio Sozzi e Vito D’Anna. Nella decorazione domina la figura di Cristo, mentre nei pennacchi della cupola, le quattro figure rappresentano i continenti evangelizzati dalla Compagnia di Gesù: Europa, Asia, Africa e America.

Le opere di quel che Picasso definì il più grande disegnatore d’Europa
“Greco è il più grande disegnatore che abbiamo in Europa”: non ha usato mezzi termini un artista del calibro di Pablo Picasso per definire le opere di questo figlio di Catania, che fu scultore, scrittore e illustratore italiano.
Il museo venne aperto negli anni Novanta e inaugurato personalmente da Emilio Greco in un luogo che lo lega indissolubilmente al compositore Vincenzo Bellini: occupa infatti alcuni ambienti del Palazzo Gravina Cruyllas dei Principi di Palagonia, sede anche del Museo civico belliniano e prima abitazione del compositore. Dal museo è possibile ammirare i fasti dell’edificio attraverso cui l’antica famiglia Gravina Cruyllas manifestava la propria potenza: dalla cappelletta agli stemmi che ne decorano il soffitto dell’atrio di ingresso.
Le opere di Greco sono 150, autografate e datate tra il 1955 e il 1992, ma soprattutto dense di un tratto originalissimo. Oggi, dopo un temporaneo periodo di chiusura, il museo custodisce anche quelle dello scultore catanese Eugenio Russo.

Nella casa del compositore che morì a soli 34 anni
Un musicista dal viso d’angelo, simbolo della genialità di Catania, amato non solo in Sicilia, ma in tutta Italia e nel mondo. Fu forse la sua morte precoce (aveva meno di 34 anni) e quel talento unito alla gentilezza dell’aspetto che fecero sì che, già nel 1919, il Real Circolo Bellini avviasse una sottoscrizione per fare della casa del musicista un monumento nazionale. Cosa che avvenne, a dispetto di difficoltà e impedimenti. Il 5 maggio 1930 fu inaugurato infatti in pompa magna il museo belliniano: era presente il re, Vittorio Emanuele III. Uno spazio piccolo, cinque stanze in tutto, occupato per intero da cimeli che raccontano la storia del musicista e della sua famiglia tra dipinti, libri, spartiti originali, strumenti musicali, scritti autografi. E perfino, secondo l’usanza dei tempi, la maschera mortuaria del compositore. Di particolare interesse la raccolta di autografi belliniani, tra cui numerosi abbozzi. Percorrere queste stanze significa insomma rivivere la vita dell’autore di Norma attraverso il doppio binario della sfera pubblica e di quella privata, con le stampe su Catania antica, le delibere del governo cittadino, ma anche gli oggetti di uso quotidiano, i ritratti. E perfino due tappeti che gli dovevano essere particolarmente cari, perché ricamati da Giuditta Turina, la sua amante.

Foto, arredi e oggetti dell’autore de I Malavoglia
Giovanni Verga crebbe e morì qui nel 1922, nel cuore della vecchia Catania, nell’appartamento al secondo piano del palazzo ottocentesco della chiassosa via Sant’Anna. La casa, dichiarata monumento nazionale nel 1940, conserva all’interno arredi e oggetti appartenuti allo scrittore. Oltre 2600 volumi che furono proprietà di Verga, riproduzioni originali di opere dell’autore, fotografie d’epoca, lastre e pellicole scattate dallo stesso Verga, il quale era un grande appassionato di fotografia, permettono di accedere alla vita del genio vizzinese. Inoltre, sembra che le pareti parlino grazie ai numerosi ritratti, tra i quali quello realizzato da Alessandro Abate per lo scrittore e la targa in marmo e bronzo, opera di Giovanni Nicolini, doni all’autore per i suoi ottant’anni.

L’arte del presente nello scrigno del Settecento
Se l’idea è quella di creare un fil rouge tra l’arte del passato e del presente con una proiezione verso quella del futuro, fa capolino il MACS. La Badia Piccola del Monastero di San Benedetto – sede del museo e sito Unesco – rappresenta, infatti, un recipiente architettonico di grande valore artistico che – unendo in modo magistrale l’arte del nostro tempo e la bellezza architettonica settecentesca – diventa appendice dei contenuti estetici di oggi, esprimendosi tramite la fusione di tutti i linguaggi dell’arte visiva e il contesto barocco. Il museo arte contemporanea Sicilia vuole valorizzare i beni culturali del patrimonio siciliano, promuovendo la conoscenza dell’arte contemporanea italiana e internazionale con i suoi artisti già noti e i talenti emergenti.

Il “Colosseo nero”, il gigante di lava salvato da Sant’Agata
A Catania lo chiamano “il Colosseo nero”: la sua imponenza è tale da essere secondo soltanto all’originale romano. In questo monumento l’impronta dell’Etna si vede inequivocabilmente, visto che la lava ha una parte fondamentale nell’edificio, soltanto in parte rivestito da marmo bianco. La sua storia risale al 300 avanti Cristo, quando venne edificato, a ridosso della collina Montevergine che ospitava il nucleo storico dell’abitato. Oggi fa parte del centro storico della città (la zona un tempo era adibita a necropoli) ma soprattutto del cuore catanesi, che al loro anfiteatro sono molto legati. Poteva contenere quindicimila spettatori, aveva trentadue ordini di posti e una cavea con 14 gradoni. Era probabilmente prevista anche una copertura con grandi teli per il riparo dal forte sole o nel caso di pioggia.
E la tradizione racconta che vi si svolgessero le naumachie, vere battaglie navali, sfruttando l’antico acquedotto, riempito dalle abbondanti acque del fiume Amenano, ora sotterraneo. Una leggenda, ancora una volta legata alla lava, racconta che nel 252 una violenta eruzione dell’Etna abbia sfiorato l’anfiteatro senza raggiungerlo, perché protetto dal velo di Sant’Agata, martirizzata lì poco tempo prima: quella spaventosa eruzione passò alla storia come la colata di Sant’Agata.

Una terrazza panoramica sul barocco della città
Affacciata su via Vittorio Emanuele, la chiesa della Badia di Sant’Agata e l’ex monastero annesso furono innalzati sulle rovine dell’antica chiesa e del convento dedicati alla patrona catanese. Distrutta dal sisma del 1693, la Badia fu completata nel 1735 dall’architetto Vaccarini, in stile barocco siciliano, con un prospetto caratterizzato da un movimento ondulato che regala morbidezza a tutto l’edificio, grazie anche alle concavità e convessità che danno vita ad ammalianti contrasti di luci e ombre. Il ricco portale di stile tardo rinascimentale e le insegne della santa conducono all’interno della chiesa, che accoglie in maniera essenziale, con una pianta a croce greca dominata dalla maestosa cupola, che dona una vista a 360° sulla città. Dentro, imperdibile, il Crocifisso realizzato da Ignazio Carnazza, nel 1696.

Nel cuore di piazza Duomo il miracolo del Vaccarini
Risalente all’epoca normanna, la Cattedrale di Catania, dedicata alla santa protettrice della città, fu voluta dal Gran Conte Ruggero che, desiderando velocizzarne la costruzione, scelse come materiale per la sua realizzazione la pietra lavica, estratta dall’anfiteatro e dal teatro romano di età imperiale. Dopo il catastrofico terremoto del 1693, dal quale la Cattedrale uscì distrutta, fu l’architetto Giovan Battista Vaccarini a occuparsi della sua ricostruzione. Tra il 1733 e il 1761, le donò l’aspetto odierno, con il caratteristico contrasto tra i marmi bianchi delle decorazioni e quelli dalle varie sfumature di grigio, le colonne romane che arricchiscono la facciata e le statue raffiguranti la patrona che completano l’opera. Tra le opere conservate all’interno, meritano particolare attenzione il portale del transetto destro e quello più antico della cappella absidale destra, che conduce alla stanza in cui viene custodito il tesoro di Sant’Agata, detta camaredda. Le sacre reliquie della martire catanese sono custodite all’interno del sacello, visibili solo nei giorni delle festività, inoltre riposano lì la principessa Costanza d’Aragona e il compositore Vincenzo Bellini.

Dalle collezioni amate da Goethe alla fashion house siciliana
Magnifica testimonianza di barocco siciliano, all’interno di un’area di uno dei più antichi palazzi di Catania, il Museo Biscari per molti anni ha vantato le collezioni archeologiche e naturali del Principe Ignazio Paternò Castello, celebrate da Goethe nel suo Viaggio in Italia e trasferite successivamente alla Galleria civica del Castello Ursino. Il museo ospita oggi l’MF, “Museum&Fashion”, dove moda e cultura si fondono per dare vita a una combinazione creativa. La Galleria Naturalia è sede dell’atelier della stilista catanese Marella Ferrera, mentre la Antiquaria fa da sfondo a una vera e propria novella interattiva, che unisce la storia della casa di moda alle tradizioni siciliane, oltre a una serie di mostre temporanee che vogliono fungere da ponte con il passato, quando nel Settecento il museo era motivo d’orgoglio per l’Isola.

Una storia fatta di terra, di piante e della tenacia di alcuni studiosi
Correva l’anno 1788 quando l’Università di Catania istituì la prima cattedra di Botanica, affidandola prima a Matteo Di Pasquale e successivamente a Ferdinando Cosentini. Mancava, però, un luogo fisico in cui dimostrare quello che si era spiegato in teoria. Ma i due luminari non si diedero per vinti e si procurarono un piccolo appezzamento di terra, da destinare a orto accademico.
Per la fondazione di un Orto botanico vero e proprio si dovette aspettare svariati decenni: nominato titolare della cattedra il monaco benedettino Francesco Tornabene Roccaforte, questi finalmente ottenne dalla Deputazione della Regia Università di Catania il tanto agognato terreno.
La storia dell’Orto botanico di Catania è, dunque, legata a doppio filo alla tenacia dei suoi studiosi, tra cui va anche annoverato Fridiano Cavara. Uno scienziato dalla mente vivace: di lui si racconta che creò, nei pressi di una casa cantoniera, un giardino botanico alpino, che chiamò gussonea, per acclimatare sull’Etna piante alpine.
Oggi l’Orto botanico si estende su una superficie di circa 16 mila metri quadrati, su suoli in parte di origine vulcanica, con lave di epoca romana, e in parte alluvionali. Da non perdere, tra le tante meraviglie del mondo verde, l’hortus siculus, con la sua collezione di piante spontanee dell’isola, anche molto rare.

Storia del cinema e antiche mappe nell’ex stabilimento industriale
Dopo un’operazione di riqualificazione dell’area delle raffinerie di zolfo – estratto dalle miniere dell’entroterra siciliano – in prossimità della stazione e del porto, i camini per la dispersione dei fumi provenienti dalle fabbriche sono diventati ciò che oggi è il centro fieristico polifunzionale Le Ciminiere. Questo prezioso esempio di archeologia industriale ospita anche alcune mostre permanenti, come il museo dello Sbarco in Sicilia del 1943, che racconta la storia del secondo conflitto mondiale in Sicilia attraverso fotografie d’epoca, registrazioni, riproduzioni in scala e reperti; quello del Cinema che – partendo dallo sviluppo tecnico fino all’evoluzione stilistica – racconta l’invenzione della settima arte. Affascinante anche la mostra permanente di carte geografiche antiche della Sicilia/Collezione La Gumina, con oltre 140 cartine databili dal XV al XIX secolo, portolani e atlanti tascabili.

Storia del cinema e antiche mappe nell’ex stabilimento industriale
Dopo un’operazione di riqualificazione dell’area delle raffinerie di zolfo – estratto dalle miniere dell’entroterra siciliano – in prossimità della stazione e del porto, i camini per la dispersione dei fumi provenienti dalle fabbriche sono diventati ciò che oggi è il centro fieristico polifunzionale Le Ciminiere. Questo prezioso esempio di archeologia industriale ospita anche alcune mostre permanenti, come il museo dello Sbarco in Sicilia del 1943, che racconta la storia del secondo conflitto mondiale in Sicilia attraverso fotografie d’epoca, registrazioni, riproduzioni in scala e reperti; quello del Cinema che – partendo dallo sviluppo tecnico fino all’evoluzione stilistica – racconta l’invenzione della settima arte. Affascinante anche la mostra permanente di carte geografiche antiche della Sicilia/Collezione La Gumina, con oltre 140 cartine databili dal XV al XIX secolo, portolani e atlanti tascabili.

Storia del cinema e antiche mappe nell’ex stabilimento industriale
Dopo un’operazione di riqualificazione dell’area delle raffinerie di zolfo – estratto dalle miniere dell’entroterra siciliano – in prossimità della stazione e del porto, i camini per la dispersione dei fumi provenienti dalle fabbriche sono diventati ciò che oggi è il centro fieristico polifunzionale Le Ciminiere. Questo prezioso esempio di archeologia industriale ospita anche alcune mostre permanenti, come il museo dello Sbarco in Sicilia del 1943, che racconta la storia del secondo conflitto mondiale in Sicilia attraverso fotografie d’epoca, registrazioni, riproduzioni in scala e reperti; quello del Cinema che – partendo dallo sviluppo tecnico fino all’evoluzione stilistica – racconta l’invenzione della settima arte. Affascinante anche la mostra permanente di carte geografiche antiche della Sicilia/Collezione La Gumina, con oltre 140 cartine databili dal XV al XIX secolo, portolani e atlanti tascabili.
Il quartiere monumentale precristiano e le suggestioni di Caravaggio
Nel cuore della Siracusa moderna, s’innesta quella antica: il parco archeologico della Neapolis, riportato alla luce da pazienti scavi archeologici all’inizio del Novecento, che si estende per un’area di ben 35 ettari in cui convivono capolavori assoluti dell’arte classica e una natura lussureggiante. Un quartiere – che comprende il teatro greco di Siracusa, l’ara di Ierone II, monumento celebrativo dedicato a Zeus Eleutherios, l’anfiteatro romano e l’orecchio di Dionisio – nato nel 405 avanti Cristo così monumentale e ricco di testimonianze artistiche per volontà del tiranno Dioniso.
Porta il suo nome la più imponente opera monumentale del tempo, appunto: il celebre orecchio dal quale parte si snoda il percorso delle grandi latomie urbane.
Una grotta artificiale avvolta da una natura rigogliosa, la cui forma ricorda quella di un padiglione auricolare, con un’acustica così potente che i suoni vi vengono amplificati fino a sedici volte. Un luogo che colpì molto il pittore Caravaggio: pare sia stato lui, nel 1608, a chiamare questo luogo orecchio di Dionigi, dando vita alla leggenda secondo cui il tiranno avrebbe fatto costruire questa grotta come prigione, da cui ascoltare indisturbato le parole dei reclusi.
Spettacoli, assemblee, processi. Un “centro polifunzionale” dell’antichità
Proviamo a immaginare cosa dovesse essere il teatro greco di Siracusa ai suoi tempi. Monumentale, certo, perché monumentale e celebrativo era tutto il quartiere in cui si trovava, Neapolis. Ma anche in perfetta armonia con l’ambiente: sembra posarsi leggero sul colle Temenite sul quale è costruito, fino a essere un insieme con la natura e con il paesaggio circostante.
Non era però bellezza fine a se stessa: e se oggi vi si svolgono le rappresentazioni classiche, secoli fa era stato pensato come l’edificio per spettacoli più importante del mondo greco-occidentale, altissimo esempio di architettura civile. Il teatro era anche luogo di culto, di assemblee popolari, perfino di processi. Un centro polifunzionale, insomma, la cui fama raggiungeva persone e luoghi lontane.
Quanto a fama, il teatro greco l’ha conservata intatta, nonostante rimaneggiamenti, spoliazioni e danneggiamenti che hanno segnato la sua lunga epoca. Come i viaggiatori del Grand tour, che consideravano questa una tappa obbligata nella loro formazione, anche noi, uomini iperconnessi del terzo millennio, che ci piaccia o no, subiamo lo stesso, immutabile fascino.
Il presepe più antico del mondo e la prima iscrizione per Santa Lucia
La basilica a cielo aperto di San Giovanni Evangelista nei suoi sotterranei custodisce un tesoro, che a sua volta ne racchiude tanti. Sono moltissime le chicche da scoprire girando per le catacombe di San Giovanni: un labirinto avvolto da un silenzio secolare, con una galleria principale, decumanus maximus, da cui partono quelle minori, cardines.
Scendere in questi luoghi significa anche vedere uno spaccato della società del tempo, con le diverse tipologie di sepoltura determinate dallo spazio a disposizione o dalla possibilità economica. Ecco il loculo, che veniva poi chiuso e corredato da iscrizioni, il ricco arcosolio, scavato nel vivo della roccia, sormontato da una nicchia e munito di una tavola, e la più umile forma, semplicemente scavata nel pavimento.
Le catacombe di San Giovanni conservano anche il presepe più antico del mondo, scoperto nell’Ottocento dall’archeologo Saverio Cavallari – allora direttore delle Antichità di Sicilia – con il sarcofago di Adelfia, moglie del conte Valerio, alto funzionario della corte imperiale. La sepoltura nel quale la donna riposa ha, infatti, scolpito al suo esterno la prima scena mai riprodotta della natività di Cristo.
Le antiche cave dei supplizi diventate giardino paradisiaco
Un luogo che trasuda storia e storie di patimenti. La Latomia dei Cappuccini, una delle più grandi del territorio di Siracusa, nel VI secolo avanti Cristo era una cava dalla quale si estraevano materiali per l’edilizia. Ma nel 413 divenne luogo di orribili supplizi. In occasione della spedizione ateniese contro Siracusa, infatti, i nemici greci fecero una terribile fine: imprigionati nelle viscere della terra, in gran parte morirono. Successivamente, la latomia fu destinata a necropoli. Alla fine del 1500, i frati di un convento vicino fecero crescere rigogliosi orti e giardini. E fu la catarsi. Questo luogo diventò un posto dolce e ameno, meta nei secoli successivi di tappe di importanti viaggiatori, nell’ambito del Grand tour. Ecco, per esempio, come Patrick Brydone descriveva le antiche latomie: “Sono senza dubbio uno dei luoghi più belli e romantici che io abbia mai veduto. Il giardino è tutto tagliato in una roccia dura come il marmo, composta di un conglomerato di conchiglie, ghiaia e altro materiale marino”.