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167 Via Dante Alighieri

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Abstract

Magiche atmosfere ottocentesche e la lapide del cagnolino
Uno splendido giardino e una dimora affascinante in stile neo-rinascimentale. È Villa Malfitano Whitaker, realizzata tra il 1885 e il 1889 dall’architetto Ignazio Greco, su commissione di Giuseppe Whitaker, imprenditore inglese stabilitosi a Palermo. I saloni sfoggiano mobili di pregio e una vasta collezione di oggetti d’arte raccolti dal proprietario, durante i suoi numerosi viaggi: quadri, coralli, avori, porcellane e arazzi fiamminghi. Da ammirare i dipinti di Lo Jacono e gli affreschi di De Maria Bergler nella “Sala d’estate”. Nel giardino, in parte all’inglese e in parte all’italiana, da oltre un secolo fioriscono rigogliose piante rare provenienti da Tunisia, Sumatra, Australia, America meridionale. Fra le curiosità da scoprire, la lapide dedicata al giardiniere e quella all’amato cane dei Whitaker, Tuffy-Too.
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Tisane, “droghe”, spaccapietra Una storia lunga tre secoli
Sulla targa di via Dante c’è scritto 1769. A quella data rimonta l’apertura della prima erboristeria dei D’Angelo. Con molta probabilità dev’essere proprio questo l’esercizio commerciale più antico di Palermo. Ma Giovanni D’Angelo precisa che la fondatrice fu la trisavola Dorotea Oliveri e che, solo dopo aver sposato un D’Angelo, il negozio prese il nome attuale. Vicino al Capo, miscelava con il bilancino le giuste quantità di “droghe”, dalla “spacca-pietra”, alla malva per curare le ostruzioni renali. Alle 7 l’erboristeria D’Angelo è già aperta. Nel laboratorio c’è un piccolo gioiello, il bancone miscelatore progettato da papà Giuseppe trent’anni fa. Da D’Angelo Serafino, nell’800 il testimone passa a Giovanni, nonno dell’attuale titolare. Dello “spaccapietra” se ne vendono trenta boccali ogni giorno: è fatto di gramigna, fiore di ficodindia per curare la “renella”.
La lavorazione artistica del vetro arrivata anche in Terra Santa
Nella lavorazione artistica del vetro è un maestro. Progetta, realizza e restaura vetrate e oggetti in vetro. Per apprezzare le sue creazioni bisogna visitare il suo laboratorio vicino all’antica stazione ferroviaria Lolli. Calogero Zuppardo, architetto, nato a Camporeale, ha riscoperto a metà degli anni Ottanta l’antica tradizione vetratista palermitana. La sua esperienza ha superato i confini siciliani e ha raggiunto la Terra Santa dove è stato chiamato per salvare dal degrado alcune opere d’arte dell’Ottocento e Novecento. Le vetrate nella Basilica della Trasfigurazione sul Monte Tabor e nella chiesa del Buon Pastore a Gerico. Insieme al figlio Vincenzo, architetto anche lui, Calogero Zuppardo ha progettato e realizzato nel 2014 la vetrata artistica per la cappella centrale all’interno del carcere Ucciardone, a Palermo. Ha dato vita all’Opificio delle arti e all’associazione Il Baglio, simbolo della condivisione di diverse esperienze di artigianato d’arte.
Il tempio del caciocavallo fondato settant’anni fa
L’intenso profumo di cacio arriva ancor prima che il cliente riesca a varcare l’ingresso di quel regno di prelibatezze. G. Formaggi, dall’iniziale del cognome della famiglia Garofalo che lo gestisce ininterrottamente dal 1948, è il punto di riferimento per gli appassionati di caciocavallo di mezza Sicilia. A ogni ora della giornata, la piccola bottega di corso Olivuzza (come è conosciuto corso Camillo Finocchiaro Aprile) è pieno di clienti. Quei parallelepipedi perfetti, in ordine e in bella mostra sugli scaffali di legno, di stagionatura e pezzatura diversa, tutti prodotti a Montelepre, sono il core business della bottega, premiata nel 2016 come negozio storico dalla Cidec. Ad affettare pecorino e parmigiano, canestrato e primosale, ci sono Salvatore e Giuseppe, figli di Gaetano Garofalo, che a 88 anni si vede spesso in negozio per inebriarsi degli odori della sua creatura.

Dove i re normanni si sollazzavano d’estate
Questo è il luogo, per eccellenza, dove i potenti e illuminati re normanni si rifugiavano nel periodo della calura estiva, tra riposo e sollazzi. Voluto da Guglielmo I e poi completato da Guglielmo II, ricadeva all’interno del parco reale, il “Genoardo”, che si estendeva a perdita d’occhio. Il giardino era un’oasi con alberi, piante, fiori, frutti, fontane zampillanti e animali esotici. La Zisa, come suggerisce l’etimologia araba, era proprio “la splendida”. Ancor oggi esercita un grande fascino. Dentro, occhio alle nicchie, alle semicupole con decorazioni “ad alveare” e alla canaletta sul pavimento dove un tempo scorreva l’acqua refrigerante. Tutto da visitare, ascoltando anche le accattivanti leggende. Fuori non c’è più il “Genoardo”, ma il parco è sempre un gradevole polmone verde.
Insegna, vetrine, scaffali Qui tutto è rimasto intatto
La prima foto della tabaccheria risale al 1870 ed è un affascinante spaccato dell’epoca, dai ragazzini con i calzoni corti alle donne con le gonne ampie fino ai piedi. Si chiamava allora Tabaccheria Matranga, e le sue radici affondano nelle vecchie norme per la titolarità delle rivendite, affidate in via prioritaria alle vedove di guerra. Nel 1920 Giulio Riggio lascia la tabaccheria nel suo paese di origine, Sutera, e rileva l’attività, che diventa negli anni il regno di fumatori (impossibile non trovare la pipa o il portasigarette desiderato) ma estende i suoi prodotti anche alle carte da gioco, agli articoli da scrittura, alla pelletteria. Dopo di lui si avvicendano i figli Enrico e Giuseppe e il nipote Carlo, attuale titolare. Dall’insegna alle vetrine agli scaffali, l’intero negozio è un gioiellino rimasto intatto.
I vecchi mobili anni Trenta riportati a nuovo splendore
A due passi dal Teatro Politeama, ombelico della città commerciale, ancora adesso mantiene l’atmosfera di un tempo. La farmacia, infatti, è un gioiello degli anni Trenta del secolo scorso che è sopravvissuto alle bombe della Seconda guerra mondiale – cadute pesantemente nel quartiere – ed è stato appena restaurato nel rispetto dei materiali e dei mobili d’epoca: i vecchi mobili che negli anni erano stati laccati di bianco sono tornati allo stato originale, le travi del soffitto sono a vista, e c’è ancora qualche antico bottiglione e qualche albarello di ceramica, oggetti che ricordano l’antico passato. Di recente, tra le vecchie carte, i proprietari hanno ritrovato i timbri antichi e le ricette per le preparazioni galeniche. A fondarla fu Vincenzo Sparti, suocero dell’attuale titolare Valeria Ciprì. Lui, titolare di una farmacia a Villabate, si trasferì a Palermo.
I bozzetti amati dalla popstar Madonna e gli abiti ispirati alla Sicilia
La popstar Madonna, ritratta come una moderna Giovanna D’Arco, ha scelto i suoi bozzetti per il video “Rebel heart”. Ha lavorato per gli stilisti Dolce&Gabbana, Etro e la maison Versace. Sergio Daricello, nato a Milano da genitori palermitani e tornato in città dopo quasi venti anni di assenza, ha trasferito nelle sue collezioni la passione per il disegno, l’arte e l’architettura. Per alcuni suoi capi che hanno sfilato a Parigi, si è ispirato alla Villa Giulia arricchita nell’800 da Damiani Almeyda. Con Tiziana Capillo, sua socia col pallino della gioielleria artigianale, ha aperto questo atelier fatto di due stanze, laboratorio da un lato ed esposizione/prova dall’altro dove campeggia uno specchio a 3 ante degli anni ’20 da sartoria, regalo di un’amica. Alle pareti, tra foulard ispirati agli angoli di Palermo, manichini e campionari, stampe del ‘700 su Maria Antonietta, sua personale ossessione.
Gli ambasciatori di eleganza amati anche in Giappone
La tradizione sartoriale a Palermo abita all’atelier Crimi, dove dal 1970 si confezionano abiti per clienti di tutto il mondo, da Milano a Hong Kong, da Singapore agli Stati Uniti. Non a caso il sito internet della sartoria è in tre lingue: italiano, inglese e giapponese. Tra cachemire e gabardine, tasmanie australiane e tessuti pettinati inglesi si alternano Carmelo e Mauro Crimi, padre e figlio. Nel 1977 Carmelo vince il “Gran premio Minucci”, una sorta di Oscar del cucito, con un modello in doppiopetto preparato in soli cinque giorni. Nel loro atelier hanno vestito Renato Guttuso, Salvatore Fiume, Brigitta Boccoli, Christian De Sica e tutto il clan circense della famiglia Orfei nelle sue numerose tappe a Palermo. Il segreto? “Fare di ogni abito un’opera unica, nel rispetto della tradizione sartoriale meridionale”.
Design e riciclo creativo Qui ogni capo è un’invenzione
Il rigore delle macchine da cucire a pedale e l’estro del design che reinterpreta stili e mode, il palermitano che prende appuntamento per farsi confezionare un abito da cerimonia o la turista che volteggia con una gonna: c’è tutto questo all’interno della sartoria Maqueda, spazio atelier di Alice Salmeri, dove si trovano abiti e accessori fatti a mano dalla stilista. Laurea al Polimoda di Firenze, parentesi lavorative in Toscana e Danimarca, una linea ecosostenibile, “Mitzica recycle” basata sul riciclo creativo lanciata nel 2005, quando l’idea del capo unico realizzato da uno scampolo sembrava pura avanguardia. “Mi piace l’idea di essere pioniera a casa. E poi mi mancava il clima”. Lo stesso che le permette di tenere tutto l’anno cappotti e costumi, per i tanti turisti che fanno tappa da lei, “ma ci sono anche clienti che fanno balli dell’800 e si fanno confezionare abiti su misura”.
I mobili in miniatura fatti con i legni antichi
Da piccoli si comincia così, un po’ per gioco e un po’per emulazione. Si osservano i gesti dei grandi e poi si cerca di imitarli. È stato così per Rosario Lannino. Tra l’odore del legno vecchio e la colla a caldo, ci passava le giornate da bambino nella bottega del padre Domenico, ebanista come il nonno Matteo e gli zii Giovanni e Salvatore. Nel laboratorio di famiglia, all’epoca in corso Alberto Amedeo, osservava suo padre restaurare mobili antichi o riprodurne di nuovi a regola d’arte. Da lui ha imparato a riconoscere le diverse essenze del legno e a distinguere gli stili delle diverse epoche. Le stesse tecniche utilizzate dal padre, Rosario le applica su mobili di dimensioni fino a tre, quattro volte più piccoli riutilizzando il legno vecchio. Dice di averne riprodotti almeno un centinaio. Comò, scrittoi e secrétaire in stile francese dalla metà del Seicento alla fine del Settecento.
Gli eredi dei “contastorie” che costruiscono i pupi
Nipote del celebre contastorie e puparo Peppino Celano, Gaetano Lo Monaco Celano porta avanti l’arte del cunto e dei pupi. Lo fa nello storico laboratorio del Capo, lo stesso in cui il nonno costruiva le sue storie. Nel laboratorio ci sono i “ferri dei pupari”, ossia gli strumenti per realizzare i pupi: legno, acciaio e stoffe colorate. Insieme sono esposte le opere da ultimare e quelle finte, armature finemente cesellate, scenografie e pupi interamente realizzati a mano. Una piccola, umile, fabbrica delle meraviglie. Come gli ha insegnato il nonno, la sua arte comprende la realizzazione artigianale dei pupi fino agli spettacoli in cui si ripercorrono le classiche storie e se ne aggiungono sempre di nuove. “Realizzo i pupi da quando ero bambino – racconta – Big Jim lo facevo diventare Rinaldo: gli mettevo i fili meccanici, lo addobbavo come un paladino e gli facevo cantare l’Orlando Furioso”.
L’arte dei pupi siciliani nel cuore del Papireto
Salvatore Bumbello, classe 1977, è costruttore di pupi palermitani e ha la sua bottega-laboratorio nel popolare quartiere del Papireto. È figlio di Luciano Bumbello, che fu allievo di Francesco Sclafani, costruttore di pupi siciliani dal 1950 al 1995, collaboratore e aiutante delle famiglie storiche di pupari di Palermo tra cui i Cuticchio e i Mancuso, nonché amico di Antonio Pasqualino, fondatore del Museo internazionale delle marionette. Dal padre, Bumbello impara l’arte della costruzione dei pupi, e nel 1995, alla sua morte, a soli diciassette anni, prende le redini dell’attività, collaborando con tutti i pupari di Palermo. Oltre alla costruzione dei paladini, Salvo Bumbello spesso collabora alla messa in scena dell’Opera dei pupi. Nel piccolo laboratorio al Papireto c’è una folla epica, composta da tante teste di legno in corso di lavorazione, appena intagliate e pronte ad essere dipinte. Nel 2013 ha fondato la compagnia Opera dei Pupi Brigliadoro.
I segreti degli antichi canestrai per tavoli, sedie e nasse
Vincenzo Ganci ha imparato i segreti dei canestrai andando a bottega a soli dieci anni. Nel dopoguerra ha aperto il suo laboratorio in via Carini e da venticinque anni si è trasferito in via Volturno. Insieme a suo figlio Arcangelo, fabbrica tavoli, sedie, nasse come lampadari e cesti di vimini che oggi riempiono il negozio e la strada: tutti realizzati intrecciando i rami lunghi e flessibili alla stessa maniera in cui si faceva secoli fa. Il procedimento è sempre lo stesso: una conoscenza in cui il tempo e la pazienza fanno da protagonisti. Seduti uno di fronte all’altro, dentro il loro laboratorio, i due artigiani hanno una maestria tale che paiono suonare qualcosa a memoria. Non guardano le loro mani che intrecciano o la loro opera che prende forma, guardano piuttosto gli amici che vanno a trovarli: una sedia di vimini su cui sedersi è sempre a disposizione.

Il mosaico Liberty nel cuore del mercato
Un panificio che è un’opera d’arte, nel cuore del Capo. Dal 2013 è chiuso per lavori di ristrutturazione del palazzo ma “a Pupa ru Capo” – così i palermitani definiscono la Demetra raffigurata nel mosaico sulla parete a fianco del negozio – rimane uno dei simboli dei mercati storici di Palermo. Il mosaico fu realizzato come regalo di nozze del padre della sposa a Salvatore Morello, titolare originario del forno, ed è un esempio squisito di Liberty. Di sicuro è opera di un brillante artista: Salva tore Gregoretti secondo alcuni studiosi, un componente della bottega di Pietro Bevilacqua o di Ernesto Basile secondo altri. La scritta, realizzata in caratteri d’oro, si staglia su una fascia di motivi vegetali su sfondo celeste inquadrata da due preziose cornici in azzurro, ritmate da motivi quadrati. Oggi ne viene esposta una copia e l’originale si trova a Palazzo Ajutamicristo.
Ricami da un secolo e mezzo per i Florio, i Lanza, gli Alliata
Con mano ferma tratteggia puttini e volute, motivi floreali e stemmi nobiliari. Non c’è disegno che sia troppo difficile per Luciano Cottone, 57 anni, terza generazione di disegnatori di ricami e noto in tutta la Sicilia. Dal 1899, i Cottone soddisfano le richieste di nobili ed esponenti del clero, madri ansiose di realizzare una dote ricca per le proprie figlie o semplicemente persone innamorate del bello. La bottega di via Volturno è un punto di riferimento per ricamatori di tutta l’Isola. L’appassionato titolare disegna a mano libera, è capace di soddisfare ogni richiesta: dalle vezzose lenzuola per neonati ai paramenti liturgici, ai ricami per abiti da sposa. Se il nonno aveva tra i clienti più esigenti i Florio, gli Alliata, i Lanza di Scalea, i disegni di Luciano Cottone sono arrivati nel Santuario di Padre Pio, negli Stati Uniti, in Canada e anche in Iran, sotto forma di ricami sul cappotto di un principe.
Immagine sacre in cera, argento e corallo Rivive la tradizione
Il Bambinello dormiente, il San Giorgio che trafigge il drago, la Santuzza Patrona di Palermo vengono rigorosamente scolpiti a mano e coreografati con coralli, argenti e pietre, rendendo unica ogni singola opera. Come gli antichi bambinai, Luigi Arini realizza presepi e immagini sacre in cera e decorazioni preziose, mettendo insieme tre antiche tradizioni siciliane: la ceroplastica, l’arte del corallo e degli argenti. Domus Artis è un’impresa familiare a due passi da Casa Professa e Ballarò, che perpetua le antiche tecniche seicentesche di cesellatura e lucidatura della cera. Nella realizzazione di ogni singola opera l’officina d’arte si attiene rigorosamente ai Canoni Tridentini, dove furono stabiliti materiali, colori e simbologia per l’iconografia religiosa cristiana. Ma Arini è capace di recuperare situazioni disperate, come quei bambinelli ridotti in mille pezzi, che con uso sapiente del calore possono tornare come nuovi.
Biciclette da tre generazioni nell’officina-pensatoio
Da tre generazioni i Cannatella realizzano biciclette artigianali. L’azienda – fondata da Nenè e passata poi al figlio Totò – oggi è mandata avanti dal nipote Massimo, il cui motto è: “La bicicletta fa bene al corpo e alla mente”. Basta entrare nel laboratorio, rigorosamente dentro al negozio, per avvertire il caos creativo e la sua passione per lo sport ma anche per l’arte e il design. Passioni che hanno generato biciclette uniche nel loro genere e che l’hanno reso celebre come artista-artigiano. Così non c’è da stupirsi se la bottega è una sorta di salotto frequentato da professionisti e da appassionati. Dal 2008, al piano superiore, al civico 10, ha aperto lo “Spazio Cannatella”, un luogo dedicato all’arte, al design e al benessere, in cui oltre a dare rilievo ai più dotati artisti del panorama cittadino e nazionale, si porta avanti un’idea di cultura che sensibilizzi a stili di vita corretti.
Le baracche dei rigattieri nate nel Dopoguerra
Tra alcune baracche di lamiera costruite dagli stessi rigattieri, l’oggetto più antico l’ha creato la natura: è l’albero. Enorme, con le radici che sollevano l’asfalto e la chioma che si allarga sotto i tetti. La posizione è strategica, a due passi dalla Cattedrale, sotto terra si incontravano i fiumi Kemonia e il Papireto. La sua storia inizia nel 1949 quando Giuseppe Virruso, raccoglitore di ferro e cuscinetti a sfera, trasportò articoli usati sul suo carrettino dalla dimora dei principi Lanza di Trabia a Terre Rosse: fu quello il primo nucleo del mercatino di antiquariato. Spulciando tra le varie bancarelle potrete intercettare il tavolo basso che volevate per il salotto, la poltrona o la sedia che desideravate, il vaso imperdibile, le piastrelle giuste per la vostra casa. Anche se il luogo meriterebbe un intervento profondo, il sapore del passato è palpabile nell’aria.
La scarpa su misura da scegliere a suon di musica
Calzature artigianali personalizzate esposte insieme a dischi in vinile in uno spazio che sintetizza il gusto e la passione dei suoi proprietari: Bizio Rizzo e Marilena Sardina. Non un semplice negozio ma uno “studio artigianale” in cui progettare il proprio paio di scarpe seduti sul comodo divano di pelle, guidati dalla musica in sottofondo che ne suggerisce lo stile. Ci si può lasciare ispirare dal punk, dal rock o dal pop, scoprendo storie e mondi legati alla musica di cui Rizzo è appassionato ma anche, in quanto musicista, protagonista. Il tutto sotto la supervisione di sua moglie Marilena Sardina che disegna e progetta le calzature, realizzate poi nella fabbrica di famiglia, la Scius Italia. Tre generazioni di artigiani calzaturieri che dal 1945 seguono i dettami della migliore tradizione del Made in Italy nella scelta dei materiali e nella lavorazione del prodotto.
Due secoli di rosticceria mignon per l’antesignano dello street food
Un “buco” che esiste dal 1826. All’interno del cortile nobile di Palazzo De Stefano, ha sempre prodotto peccatucci di gola (timballi, panzerotti, arancinette e pasticcini) da consumare a tutte le ore della giornata. Né bar né caffè: è una sorta di proto-rosticceria che ha inventato il formato mignon, molto prima che lo street food andasse di moda. Una volta varcato il portone ci si ritrova in un’oasi di tranquillità grazie al cortile, mentre le foto in bianco e nero della Palermo di una volta spiccano sulle piastrelle bianche alle pareti. I fratelli Allegra che avevano intrapreso l’attività, si erano ispirati alle sontuose libagioni dei palazzi nobiliari, preparando però lillipuziani pezzi di rosticceria. La più antica “cucina” di Palermo è stata gestita fino a pochissimi anni fa dai tre fratelli Allegra (due cuochi e il più giovane al banco), quando è passata alla famiglia Valentino.